Mamma butta la pasta
Correva l’anno 2010 i mondiali di calcio si giocavano in Sudafrica dove la nostra nazionale fu eliminata al primo turno. Ho impresso in mente la fine della partita decisiva, gli operatori della RAI inquadrarono un malinconico striscione che diceva ” MAMMA BUTTA LA PASTA” .
Per noi italiani la pasta e sinonimo di casa e di famiglia, oltre ad essere un dei nostri cibi preferiti.
La pasta: uno dei principali ingredienti presenti nei nostri piatti. Quanto ci piace? Quanta ne mangiamo? Da quanto la mangiamo? Sulle prime due domande dovrei fare qualche sondaggio, ma sulla terza alcune risposta le ho.
La pasta ha una storia molto antica che è iniziata circa 7000 anni fa quando l’uomo, lentamente, cominciò ad abbandonare la vita nomade per iniziare a coltivare la terra. E’ in questo periodo che si cominciano a scoprirne i frutti tra cui il grano: l’uomo stanziale impara a lavorarlo così in modo sempre più produttivo, iniziandolo a macinare fino ad ottenere un composto molto diverso che noi oggi chiamiamo farina.
Immagino la perplessità del novizio contadino: cosa farsene di questo composto così fine, che scivola veloce tra le mani? Chissà se è stato un gesto casuale o una scelta consapevole aggiungere ad essa dell’acqua, cominciare ad impastare velocemente e poi porla su di una pietra molto rovente. Questo non ci è dato di saperlo, ma quel che è noto è che è stato in quel momento in cui si è creato un prodotto semplice, buono e piacevole: la pasta.
Bisogna però arrivare al IV secolo a.C. per avere le prime testimonianze su questo prodotto: famosi infatti sono i rilievi in stucco della tomba etrusca Grotta Bella dove sono riprodotti spianatoia, matterello, rotella dentata ecc. ed è poi necessario giungere fino al I secolo a. C. per ricostruire al meglio la storia della pasta: sappiamo che già Cicerone e Orazio erano ghiotti di lagana (una schiacciata di farina simile alle nostre lasagne), ma è Apicio che ci lascia la prima vera documentazione nel “De re coquinaria libri”, relativa ad un composto simile alla nostra pasta.
Fino al Medio Evo però, attorno all’anno mille non si hanno ulteriori notizie, fino a che ne ricompaiono alcune testimonianze presso Palermo, dove si fabbricava cibo di farina a forma di filo chiamato in arabo “itriyah” e che è presente ancora adesso con il nome di vermicelli di Tria. Secondo alcuni studi sono gli arabi che introducono la pasta nella cucina italiana (e non Marco Polo come si è sempre erroneamente pensato) intorno all’anno 1000: è infatti del 1154 un documento dove il geografo arabo Al-Idrin parla di un “cibo di farina in forma di fili” chiamato appunto triyah
E’ sempre a Palermo che sembrano essere apparsi i maccheroni, ma non con il significato che gli attribuiamo noi: essi sembrano infatti indicare una pasta ripiena .- tipo i ravioli- o piccoli gnocchetti di semola simili ai “malloreddus” sardi. L’etimologia del termine dunque suscita diversa confusione che si protrae fino ai primi del Settecento. Diversi tipi di pasta infatti vengono etichettati come maccheroni fino a che i napoletani si appropriano di questo termine per indicare paste lunghe trafilate facendoli entrare nell’alimentazione quotidiana. Il maccherone dunque, diventa un cibo simbolo della cucina semplice, povera, nutriente e veloce. e, alla fine del ‘600, esso si porrà alla la base dell’alimentazione quotidiana popolare.
P.S. Mangiare seguendo i criteri di equilibrio non significa rinunciare alla pasta, ma mangiarla, anche tutti i giorni, usando l’intelligenza.
P.P.S. La carbonara o a pasta a quattro formaggi, per esempio, sono gustose e goderecce ma forse sono da limitare nel consumo ad una volta alla settimana. nulla vieta di farsi una pasta alle olive o al pomodoro negli altri giorni.
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